Cosa dice la legge sull’aborto in Italia?

Per aborto si intende l’interruzione spontanea o volontaria di una gravidanza. Giuridicamente ed eticamente si discute di interruzione volontaria della gravidanza (IVG). Quest’ultima in Italia è regolata dalla legge 194 del 22 maggio 1978, confermata dai referendum del 1981. Secondo questa legge una gravidanza può essere interrotta solo se comporta un pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Nel primo trimestre (entro i primi 90 giorni, ossia 12 settimane e 6 giorni dall’ultima mestruazione) l’aborto è ammesso sulla base di una dichiarazione della donna che ritiene che la prosecuzione della gravidanza possa rappresentare un pericolo per la sua salute fisica o psichica.

Dopo il primo trimestre è ammesso solo nei casi in cui un medico rilevi e certifichi che la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica o psichica (ad esempio:  a causa di gravi anomalie genetiche e/o di malformazioni dell’embrione o del feto, o a causa di gravi patologie materne come tumori o patologie psichiatriche).

L’interruzione di gravidanza, è avviata su richiesta personale della donna.

Qualora, la donna sia minorenne, la legge 194, richiede il consenso dei genitori, esercenti la responsabilità genitoriale oppure del suo tutore. Nell’ipotesi d’aborto entro la 12°settimana, ove sussistono circostanze che impediscono o sconsigliano l’ascolto dei genitori o del tutore oppure essi siano in disaccordo tra loro o negano l’assenso all’interruzione di gravidanza, il medico a cui si è rivolta la gestante, deve inviare, entro sette giorni, una relazione comprensiva del proprio parere, al giudice tutelare del luogo.

Nei successivi cinque giorni, il giudice, provvede all’ascolto della minore, potendo autorizzarla a procedere all’interruzione di gravidanza, in considerazione delle sue motivazioni e della relazione medica.

In caso di pericolo per la vita della minore, il medico rilascia il certificato per l’immediata interruzione della gravidanza, senza che sia necessario il consenso dei genitori o tutore
nonché il ricorso al giudice tutelare. Il consenso dei genitori o del tutore, non è richiesto nemmeno nell’ipotesi di aborto
terapeutico della minore, certificando il medico, l’esistenza di patologie avverse alla gravidanza, e procedendo immediatamente all’intervento, ove sussista pericolo per la vita della donna.

In caso d’interdizione per infermità mentale, la richiesta d’abortire, può essere avanzata dalla donna o dal marito (purché non separato), sentito il tutore oppure direttamente da quest’ultimo. La richiesta deve essere confermata dalla donna, e successivamente il medico, entro sette giorni, invia una relazione, al giudice tutelare, affinché possa decidere sulla richiesta.

Qualora, la donna voglia interrompere la gravidanza, può rivolgersi:

  • ad un medico di fiducia;
  • ad una struttura medica pubblicaconvenzionata;
  • ad un consultorio.

A seguito degli accertamenti clinici, il medico a cui si è rivolta la donna, esamina con la stessa ed il padre del nascituro (su assenso dalla donna) i motivi ostativi alla prosecuzione della gravidanza stessa, indicando i diritti riconosciuti alla gestante e gli aiuti alla maternità.

Il medico, rilascia un certificato attestante la gravidanza, con il quale, la donna può procedere immediatamente all’aborto, ove sussista un’urgenza, in caso contrario, trascorsi sette giorni, la donna può rivolgersi alla struttura medica, per eseguire l’intervento.

Quando si parla di aborto non si può non menzionare anche l’obiezione di coscienza. Questa consiste nel rifiuto di eseguire le pratiche di aborto volontario per ragioni etiche, religiose o altri motivi personali. Il medico obiettore può rifiutarsi di eseguire l’interruzione di gravidanza, dichiarando la propria obiezione di coscienza, che nasce dal conflitto tra due obblighi, dal momento che l’obiettore di coscienza, al
rispetto della prestazione giuridica da eseguire, oppone la sussistenza, nella sfera della propria coscienza, di motivi etici o religiosi, che contrastino con il comportamento richiesto dalle norme, e per tale motivo ne chiede l’astensione.

La legge 194, consente al medico ed al personale sanitario, di astenersi dal compiere gli atti diretti a provocare l’interruzione di gravidanza, dichiarando pubblicamente la propria obiezione di coscienza. L’obiettore di coscienza, è tenuto a comunicare la propria decisione al medico provinciale e al direttore sanitario della struttura medica (sia essa pubblica o privata, autorizzata ad eseguire l’aborto) ove egli sia assunto in qualità di dipendente.

L’obiezione di coscienza è esclusa quando l’aborto è necessario a salvare la vita della donna incinta.