Quand’è che la polizia può fermarti e chiederti i tuoi documenti identificativi?

Ultimamente si è molto discusso in merito a quelli che sono i poteri della Polizia Statale. Dopo il caso di George Floyd, infatti, sembra esserci un malcontento generale nei confronti delle Forze dell’Ordine e del loro operato che, secondo alcuni, spesso sfocia in abuso di potere. Ma quand’è che, in Italia, la Polizia può decidere di fermare una persona per identificarla?
Il problema dell’identificazione dei cittadini da parte della polizia o dei militari è particolarmente sentito. Nonostante infatti sia obbligatorio fornire le proprie generalità ed esibire un documento che le comprovi agli agenti o agli ufficiali di polizia che ne fanno richiesta, molte persone non ritengono necessario premunirsi di un documento di identità e non sono consapevoli dei rischi che ciò comporta. Ecco che dunque sorge spontaneo chiedersi in questi casi: la polizia può chiedere i documenti senza motivo? Si immagini il caso in cui i poliziotti ti fermano e ti chiedono i documenti. Siccome non è obbligatorio portare con sé la carta d’identità e non stai guidando l’auto, ragion per cui non hai la patente, fai spallucce. I due però pretendono di portarti in questura. Possono farlo? Questo argomento è stato trattato nel corso degli anni da varie leggi, a partire dal Codice penale del 1930, seguito dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza e dal relativo regolamento che risalgono al 1931 fino alla legge n. 191 del 1978 sulla prevenzione e repressione di gravi reati.
Se un pubblico ufficiale (di solito un appartenente all’Arma dei Carabinieri, alle Forze di Polizia, alla Guardia di Finanza, al Corpo dei Vigili Urbani, ma non solo) ne fa richiesta, si è tenuti a fornirgli le proprie generalità complete. In caso contrario, si commette un reato per il quale è previsto l’arresto ad un mese e un’ammenda di circa 200 euro.
Fin troppo banale specificare che è necessario produrre un documento di identità valido: non quindi uno scaduto, né tantomeno uno falso.
L’identità personale può essere dimostrata innanzitutto con la carta d’identità fornita dal Comune di residenza o con documenti aventi uguale valore. Sono considerati tali tutti i documenti muniti di fotografia e rilasciati da una amministrazione dello Stato, come la patente o il passaporto. Non è un documento d’identità la tessera sanitaria. Chi non si lascia identificare, se è una persona “pericolosa o sospetta”, commette reato. Una cosa, però, è l’obbligo di fornire le proprie generalità, a cui come detto è tenuto ogni cittadino (fatto salvo le pretese ingiustificate o arbitrarie), un’altra è invece l’esibizione dei documenti d’identità. La legge parla chiaro: solamente chi rifiuta, dietro richiesta di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è perseguibile penalmente. In altri termini, la polizia può chiederti di identificarti, cioè di fornire le tue generalità (nome, cognome, residenza, ecc.), ma non di estrarre dalla tasca i documenti e di consegnarglieli. Un poliziotto fuori servizio non può chiederti le generalità , salvo intervenga attivamente in una circostanza in cui c’è bisogno delle forze dell’ordine, come ad esempio nel caso del pirata della strada che, violando la legge, per poco non investe un pedone o di un facinoroso che, nel corso di una manifestazione per strada, distrugga le vetrine dei negozi. In un caso del genere, il poliziotto formalmente fuori servizio, intervenendo per chiedere le generalità del conducente al fine di contestare l’infrazione, si trova concretamente nell’esercizio delle sue funzioni e, pertanto, ha il diritto di conoscere le generalità della persona fermata. Chi si rifiuta di fornire le proprie generalità o non è in grado di provare la propria identità con un documento, può essere sottoposto a rilievi segnaletici, ma non a ispezioni personali. Inoltre, se vi sono indizi sufficienti per ritenere che le indicazioni fornite siano false o lo siano i documenti esibiti, gli ufficiali o gli agenti di polizia possono disporre l’accompagnamento della persona nei propri uffici (ossia in Questura o alla stazione dei Carabinieri) e trattenerla per il tempo strettamente necessario alla sua identificazione, e comunque non oltre 12 ore oppure, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le ventiquattro ore, quando l’identificazione risulti particolarmente complessa. Di ciò deve essere data immediatamente notizia al pubblico ministero il quale può anche decidere l’immediato rilascio se ritiene che non ricorrono le condizioni di legge.Il fermato ha diritto di avvisare un familiare o un convivente. Non ha, però, diritto ad un avvocato.