Che cos’è l’accertamento di conformità?

L’accertamento di conformità, nello specifico, è una procedura che consente di regolarizzare ex post la realizzazione di un intervento edilizio già realizzato, in assenza o in difformità dal titolo abilitativo per esso prescritto.

Più precisamente, tramite l’accertamento di conformità, il privato può escludere che, in proprio sfavore, si applichino le conseguenze negative conseguenti la commissione di un abuso edilizio. Ciò premesso, si distingue, in particolare:

  1. un accertamento di conformità volto ad ottenere il permesso di costruire in sanatoria in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività alternativa al permesso di costruire (art. 36 del Testo Unico Edilizia, cfr. infra);
  2. un accertamento di conformità diretto ad ottenere la sanatoria dell’intervento ediliziorealizzato in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività (art. 37 Testo Unico Edilizia). L’abuso edilizio, del resto, è un illecito penalmente rilevante e, dunque, un reato che si concretizza nel momento in cui viene fatto un intervento sul territorio senza avere le autorizzazioni necessarie. ma anche se questi vengono effettuati in modo difforme a quanto concesso.

Ecco, quindi, che attivando la procedura dell’accertamento di conformità il privato ottiene anche il beneficio di evitare, in suo sfavore, l’applicazione sia della sanzione penale, consistente nell’ammendo e/o nell’arresto, sia di quella amministrativa, ovvero l’ordine, impartito dalla P.A., di ripristinare lo stato anteriore dei luoghi, anteriore all’abuso.

Sotto tale profilo, va – anche – sottolineato che solo la sanzione penale è oggetto di estinzione per prescrizione e che ciò, invece, non vale per la sanzione amministrativa.

Come detto, l’accertamento di conformità è disciplinato, segnatamente, dall’art. 36 del Testo Unico dell’Edilizia, adottato con D.P.R. 380/01. L’accertamento di conformità, tuttavia, non è consentito per l’ ”legittimare” gli abusi sostanziali, ovvero tutti quegli interventi che non sarebbero mai stati approvati, come, ad esempio:

  • costruzioni su aree non edificabili
  • costruzioni in eccesso rispetto alla volumetria consentita
  • destinazioni d’uso non prevista per una specifica zona urbanistica

Ciò premesso, va detto che la richiesta di accertamento di conformità deve essere avanzata dal responsabile dell’abuso o dall’attuale proprietario dell’immobile. La giurisprudenza amministrativa, infatti, concordemente ritiene che l’accertamento di conformità non sia attivabile d’ufficio da parte della P.A., trattandosi di una procedura ad esclusiva iniziativa di parte e che impone al richiedente l’onere di provare la data di realizzazione dell’intervento per il quale chiede la sanatoria. I presupposti per ricorrere all’istituto, sono:

  1. che l’intervento da regolarizzare risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dello stesso e al momento della presentazione della domanda (c.d. doppia conformità);
  2. che sia versata una somma di denaro (a titolo di oblazione o di sanzione), il cui preciso ammontare viene determinato in relazione al caso concreto.

La normativa nazionale, pertanto, ammette la regolarizzazione dell’abuso edilizio attraverso l’istituto dell’accertamento di conformità finalizzato al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, degli interventi realizzati:

  1. in assenza o in difformità dal permesso di costruire, e quindi sia in difformità totale, parziale o con variazioni essenziali;
  2. in assenza di segnalazione certificata di inizio attività alternativa al permesso di costruire (n.b. Non sono contemplate le difformità alla SCIA alternativa, per cui ogni variazione nell’ambito di questo titolo abilitativo sembrerebbe ritenuta eseguita in assenza di SCIA).

Ciò detto, ad ogni modo, l’intervento da regolarizzare deve – necessariamente – risultare subordinato al regime del permesso di costruire, per cui l’attività edilizia ammessa a permesso di costruire in sanatoria deve riguardare gli interventi elencati all’art. 10 del Testo Unico Edilizia. Di conseguenza, possono accedere all’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del Testo Unico Edilizia:

  1. gli interventi di nuova costruzione;
  2. gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
  3. gli interventi di ristrutturazione edilizia (c.d. pesante) che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.

L’accertamento di conformità, ai sensi dell’art. Testo Unico Edilizia, è possibile anche:

  1. per quelle «varianti/variazioni/difformità» che la giurisprudenza ritiene subordinate a permesso di costruire;
  2. per le opere/interventi cui la legge del tempo fa corrispondere delle responsabilità in capo ai soggetti considerati, ovvero una sanzione amministrativa e/o penale (in ragione della pretesa doppia conformità);
  3. per le lottizzazioni abusive;
  4. per opere oggetto di permesso di costruire in deroga.

La procedura per ottenere l’accertamento di conformità è contenuta nell’art. 37 del Testo Unico Edilizia ed, in particolare, al comma 4 di tale norma, secondo la quale può ad esso ricorrersi per:

  1. gli interventi di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo c.d. pesanti, qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio;
  2. gli interventi di ristrutturazione edilizia c.d. leggera;
  3. le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.

La c.d. “doppia conformità”. Presupposto fondamentale per attivare la procedura è la cosiddetta “doppia conformità”, che consiste nella necessità che l’intervento sia conforme:

  1. alle norme urbanistiche in vigore nel Comune di appartenenza nel momento in cui è stata realizzata l’opera edilizia;
  2. alle norme urbanistiche in vigore nel Comune nel momento in cui viene chiesto l’accertamento di conformità Ciò detto, il privato, ovvero il responsabile dell’abuso e/o l’attuale proprietario dell’immobile, per ottenere un accertamento di conformità deve presentare una specifica istanza al Comune sul cui territorio insiste l’opera o il manufatto “abusivo”, allegando un’apposita documentazione preparata da un tecnico abilitato.

Ciò perché è indispensabile dimostrare la sussistenza della citata “doppia conformità”, predisponendo elaborati grafici in grado di illustrare l’opera prima e dopo le modifiche realizzate. Il

Comune deve pronunciarsi entro 60 giorni dal deposito della domanda di accertamento di conformità ma, trovando applicazione la regola del c.d. “silenzio rigetto”, nel caso in cui la P.A. non si pronunci entro tale termine, l’istanza va considerata respinta.

Vanno, tuttavia, segnalate alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa secondo le quali il silenzio va considerato illegittimo, perché, secondo il Testo Unico, l’ente è tenuto a pronunciarsi in merito alle motivazioni del diniego.

Se la richiesta di accertamento di conformità viene approvata, l’interessato deve pagare un’oblazione pari al doppio del sostenuto per la costruzione dell’opera. Se questo non è quantificabile, la sanzione parte da un minimo di 516 euro.

E’ molto importante sottolinea nere che, il pagamento di tali somme, estingue anche il rilevo penale dell’abuso edilizio. Differenza fra accertamento di conformità e condono. L’accertamento di conformità di cui agli artt. 36 e 37 T.U.

Edilizia, si distingue da un altro strumento di regolarizzazione degli abusi edilizi ovvero dal c.d. “condono”. Quest’ultimo, invero, si caratterizza per la natura straordinaria e la sua efficacia limitata nel tempo.

Scopo principale del condono, infatti, è regolarizzare diverse situazioni illecite entro determinati presupposti temporali. In altre parole, col condono, i soggetti che hanno posto in essere abusi edilizi, usufruiscono di una sorta di “finestra aperta” per regolarizzare lo stesso.

E ciò anche se le opere realizzate sono – comunque – in contrasto con i piani urbanistici approvati e vigenti al momento della presentazione dell’istanza.

Con il c.d. “decreto semplificazioni”(d.l. 76/2020) quindi, lo Stato Italiano ha inteso snellire e semplificare alcune procedure burocratiche seguendo la via dell’innovazione. In materia edilizia, nello specifico, si è proposto di limitare la necessità della sussistenza del presupposto della c.d. “doppia conformità” ai soli casi di:

  1. immobili già realizzati alla data di entrata in vigore della norma;
  2. Immobili realizzati o adeguabili alla normativa tecnica in riferimento a sismicità, prestazione energetica, ecc…;
  3. non incidenza sui vincoli o comunque si accerti la piena conformità alle esigenze tutelate dal vincolo esistente; Il requisito della “doppia conformità” permane a pieno, invece, nella sanatoria degli abusi edilizi mentre è stata eliminata la disposizione secondo la quale l’accertamento di conformità deve essere valutato tenendo conto dello stato dell’opera al momento della presentazione della domanda.

Con la conseguenza che – oggi – l’accoglimento della domanda non estingue i reati commessi in precedenza. Da quanto possiamo notare, quindi, sebbene in Italia si tenda – spesso – ad agire illegalmente per poi cercare di porre rimedio, è molto più conveniente rispettare le norme fin da subito. perché differire di adeguarsi alle stesse non fa bene neppure alle proprie finanze.